3 | Ruppemi l'alto sonno ne la testa un greve truono, sì ch'io mi riscossi come persona ch'è per forza desta; | ||||
6 | e l'occhio riposato intorno mossi, dritto levato, e fiso riguardai per conoscer lo loco dov'io fossi. | ||||
9 | Vero è che 'n su la proda mi trovai de la valle d'abisso dolorosa che 'ntrono accoglie d'infiniti guai. | ||||
12 | Oscura e profonda era e nebulosa tanto che, per ficcar lo viso a fondo, io non vi discernea alcuna cosa. | ||||
15 | "Or discendiam qua giù nel cieco mondo", cominciò il poeta tutto smorto. "Io sarò primo, e tu sarai secondo". | ||||
18 | E io, che del color mi fui accorto, dissi: "Come verrò, se tu paventi che suoli al mio dubbiare esser conforto?". | ||||
21 | Ed elli a me: "L'angoscia de le genti che son qua giù, nel viso mi dipigne quella pietà che tu per tema senti. | ||||
24 | Andiam, ché la via lunga ne sospigne". Così si mise e così mi fé intrare nel primo cerchio che l'abisso cigne. | ||||
27 | Quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto mai che di sospiri che l'aura etterna facevan tremare; | ||||
30 | ciò avvenia di duol sanza martìri, ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi, d'infanti e di femmine e di viri. | ||||
33 | Lo buon maestro a me: "Tu non dimandi che spiriti son questi che tu vedi? Or vo' che sappi, innanzi che più andi, | ||||
36 | ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo, ch'è porta de la fede che tu credi; | ||||
39 | e s'e' furon dinanzi al cristianesmo, non adorar debitamente a Dio: e di questi cotai son io medesmo. | ||||
42 | Per tai difetti, non per altro rio, semo perduti, e sol di tanto offesi che sanza speme vivemo in disio". | ||||
45 | Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi, però che gente di molto valore conobbi che 'n quel limbo eran sospesi. | ||||
48 | "Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore", comincia' io per voler esser certo di quella fede che vince ogne errore: | ||||
51 | "uscicci mai alcuno, o per suo merto o per altrui, che poi fosse beato?". E quei che 'ntese il mio parlar coverto, | ||||
54 | rispuose: "Io era nuovo in questo stato, quando ci vidi venire un possente, con segno di vittoria coronato. | ||||
57 | Trasseci l'ombra del primo parente, d'Abèl suo figlio e quella di Noè, di Moïsè legista e ubidente; | ||||
60 | Abraàm patrïarca e Davìd re, Israèl con lo padre e co' suoi nati e con Rachele, per cui tanto fé, | ||||
63 | e altri molti, e feceli beati. E vo' che sappi che, dinanzi ad essi, spiriti umani non eran salvati". | ||||
66 | Non lasciavam l'andar perch'ei dicessi, ma passavam la selva tuttavia, la selva, dico, di spiriti spessi. | ||||
69 | Non era lunga ancor la nostra via di qua dal sonno, quand'io vidi un foco ch'emisperio di tenebre vincia. | ||||
72 | Di lungi n'eravamo ancora un poco, ma non sì ch'io non discernessi in parte ch'orrevol gente possedea quel loco. | ||||
75 | "O tu ch'onori scïenzïa e arte, questi chi son c'hanno cotanta onranza, che dal modo de li altri li diparte?". | ||||
78 | E quelli a me: "L'onrata nominanza che di lor suona sù ne la tua vita, grazïa acquista in ciel che sì li avanza". | ||||
81 | Intanto voce fu per me udita: "Onorate l'altissimo poeta; l'ombra sua torna, ch'era dipartita". | ||||
84 | Poi che la voce fu restata e queta, vidi quattro grand'ombre a noi venire: sembianz'avevan né trista né lieta. | ||||
87 | Lo buon maestro cominciò a dire: "Mira colui con quella spada in mano, che vien dinanzi ai tre sì come sire: | ||||
90 | quelli è Omero poeta sovrano; l'altro è Orazio satiro che vene; Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano. | ||||
93 | Però che ciascun meco si convene nel nome che sonò la voce sola, fannomi onore, e di ciò fanno bene". | ||||
96 | Così vid'i' adunar la bella scola di quel segnor de l'altissimo canto che sovra li altri com'aquila vola. | ||||
99 | Da ch'ebber ragionato insieme alquanto, volsersi a me con salutevol cenno, e 'l mio maestro sorrise di tanto; | ||||
102 | e più d'onore ancora assai mi fenno, ch'e' sì mi fecer de la loro schiera, sì ch'io fui sesto tra cotanto senno. | ||||
105 | Così andammo infino a la lumera, parlando cose che 'l tacere è bello, sì com'era 'l parlar colà dov'era. | ||||
108 | Venimmo al piè d'un nobile castello, sette volte cerchiato d'alte mura, difeso intorno d'un bel fiumicello. | ||||
111 | Questo passammo come terra dura; per sette porte intrai con questi savi: giugnemmo in prato di fresca verdura. | ||||
114 | Genti v'eran con occhi tardi e gravi, di grande autorità ne' lor sembianti: parlavan rado, con voci soavi. | ||||
117 | Traemmoci così da l'un de' canti, in loco aperto, luminoso e alto, sì che veder si potien tutti quanti. | ||||
120 | Colà diritto, sovra 'l verde smalto, mi fuor mostrati li spiriti magni, che del vedere in me stesso m'essalto. | ||||
123 | I' vidi Eletra con molti compagni, tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea, Cesare armato con li occhi grifagni. | ||||
126 | Vidi Cammilla e la Pantasilea; da l'altra parte, vidi 'l re Latino che con Lavina sua figlia sedea. | ||||
129 | Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia; e solo, in parte, vidi 'l Saladino. | ||||
132 | Poi ch'innalzai un poco più le ciglia, vidi 'l maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia. | ||||
135 | Tutti lo miran, tutti onor li fanno: quivi vid'ïo Socrate e Platone, che 'nnanzi a li altri più presso li stanno; | ||||
138 | Democrito, che 'l mondo a caso pone, Dïogenès, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone; | ||||
141 | e vidi il buono accoglitor del quale, Dïascoride dico; e vidi Orfeo, Tulïo e Lino e Seneca morale; | ||||
144 | Euclide geomètra e Tolomeo, Ipocràte, Avicenna e Galïeno, Averoìs, che 'l gran comento feo. | ||||
147 | Io non posso ritrar di tutti a pieno, però che sì mi caccia il lungo tema, che molte volte al fatto il dir vien meno. | ||||
150 | La sesta compagnia in due si scema: per altra via mi mena il savio duca, fuor de la queta, ne l'aura che trema. | ||||
E vegno in parte ove non è che luca.
Commento del Canto n°IV
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domenica 23 marzo 2014
DANTE - LA DIVINA COMMEDIA - INFERNO - Canto n° IV
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